Caleydo unisce generazioni e abilità diverse:

Inclusività in movimento

 

Nel mondo dell’educazione e della formazione si parla spesso di inclusione.
Una parola bella, potente, ma che troppo spesso rimane solo un’idea.
Un’intenzione che fatica a diventare realtà.

Caleydo, invece, la inclusione la mette in pratica.
La rende viva. Concreta. Fisica.

Non creando spazi separati, non dividendo per età o abilità, ma facendo esattamente il contrario: unendo.
Mettendo in relazione. Facendo giocare, sperimentare, collaborare persone diverse, insieme, nello stesso spazio.

Un metodo per tutti. Nessuno escluso.

Nel metodo Kaleido, non serve “essere bravi”.
Non serve avere un talento, né una competenza specifica.

  • Non devi saper suonare per partecipare a un drum circle.

  • Non devi essere agile per lavorare sull’equilibrio.

  • Non devi essere un artista per giocare con la giocoleria.

Tutto è accessibile, adattabile, modulabile.
Ogni esercizio ha uno scopo chiaro: attivare la relazione, la presenza, l’ascolto.
Senza giudizio. Senza performance.

Perché il corpo può esprimersi in mille modi diversi.
E ognuno ha il proprio. Nessuno è sbagliato.

Come si dice nella Caleydosofia:

“Non siamo tutti musicisti… ma siamo tutti musicali.”

Un ponte tra generazioni

Una delle caratteristiche più sorprendenti di Caleydo è la sua capacità di funzionare con persone di ogni età.

Il metodo è stato applicato con successo in contesti molto diversi tra loro:

  • Scuole medie e superiori, per migliorare la comunicazione tra adolescenti, anche in situazioni di fragilità o disagio.

  • Università della Terza Età, per stimolare memoria, equilibrio, coordinazione, creando momenti di socialità leggera e profonda.

  • Accademie di teatro sociale, dove gruppi misti per età, provenienza o abilità collaborano e si esprimono attraverso il corpo, il suono, il gioco.

In ogni situazione, Kaleido non impone un modello, ma si adatta al gruppo.
E proprio per questo… funziona. Perché nasce dalla relazione.

L’inclusione vera inizia dal corpo

Nel metodo Kaleido, la parola “inclusione” cambia forma.
Non è più qualcosa da “offrire a chi è diverso”, ma un modo naturale di stare insieme.

Come?

  • Gli oggetti usati (piume, palloncini, bastoni) sono semplici, neutri, non richiedono abilità specifiche.

  • Le attività non sono competitive né valutative.
    Nessuno vince, nessuno perde. Tutti partecipano.

  • Non si lavora sull’emozione individuale, ma sulla relazione corporea.
    È da lì che, eventualmente, nascono riflessioni personali o terapeutiche, ma sempre in modo spontaneo, mai forzato.

Kaleido non ti chiede chi sei.
Ti invita a scoprire come ti muovi nel mondo. Con gli altri.

L’inclusione è relazione

Alla base del metodo Kaleido c’è un’idea semplice ma profonda:
inclusione è relazione.

Ogni esercizio, ogni momento del laboratorio, è pensato per favorire il contatto, l’empatia, l’ascolto reciproco.

  • Nessuno si sente fuori posto.

  • Le differenze non si notano, si mescolano.

  • L’apprendimento non è gerarchico. È condiviso.

È comune sentire i partecipanti raccontare, alla fine del laboratorio, di aver sentito “qualcosa sbloccarsi”.
Anche senza sapere esattamente cosa.

Perché quando il corpo si muove e si sente accolto, anche la mente si apre.
E la comunicazione cambia.

    Inclusione è mescolanza, non separazione

    Inclusione reale non significa creare spazi “per chi è diverso”.
    Significa creare spazi dove la diversità è la norma.

    Il metodo Kaleido è un esempio concreto di questa visione:

    • aperto

    • flessibile

    • profondo ma leggero

    • accessibile ma mai superficiale

    In un mondo che tende a dividere per età, competenze o ruoli, Kaleido fa il gesto opposto: invita a incontrarsi, a contaminarsi, a giocare insieme.

    Perché, alla fine, inclusione è questo:
    muoversi nello stesso spazio, con libertà.
    Guardarsi, scoprirsi, capirsi.
    E sentirsi parte.